Mi
pare abbastanza evidente che, nel mondo globalizzato più che in altre epoche, democrazia
significa, prima di tutto, informazione. Per questo penso che i
giornalisti oggi svolgano un ruolo ancora più essenziale. D'altra parte, la libertà di stampa ha la sua
sorgente nel diritto universale alla conoscenza, nel diritto di ogni
cittadino a informare e ad essere informato. Perciò porre domande ai
giornalisti potrebbe essere funzionale ad un corretto esercizio della
democrazia.
Bene,
ecco cosa chiederei ai professionisti dell'informazione. Solo sette domande:
una per ogni giorno della settimana.
1) In primo luogo, non credete che tutto sarebbe più chiaro per noi
cittadini, se voi giornalisti andaste davvero "in giro" per città,
paesi, strati sociali, condizioni di vita, esperienze culturali e religiose, a
raccogliere informazioni invece di accontentarvi di fare, per lo più, "copia
e incolla" di notizie o "dicerie" scovate nel web o sulla
stampa internazionale, o prodotte da costose agenzie nazionali e
internazionali, i cui interessi non sono chiari e che, d'altra parte,
rimangono sempre "dietro le quinte", nei vostri giornali o
telegiornali? Non sarebbe meglio se i giornalisti sapessero onestamente
descrivere le cose, i processi, gli eventi, le persone del mondo più che
pretendere di interpretarli? se non avessero tutti l'ambizione di trasformarsi,
prima o poi, in "grandi
firme", o opinionisti, esperti e magari consiglieri di chi governa o
amministra? Non sarebbe meglio se preferissero rappresentare semplicemente
delle "finestre" da cui tutti possiamo affacciarci per vedere il più
possibile di quello che accade?
2)
E poi, non sarebbe un servizio migliore alla democrazia, se non ci spingeste a
guardare solo "sotto il lampione", lì dove è più semplice
guardare, ma orientaste le vostre torce e i nostri sguardi anche
su ciò che non è ovvio nel mondo d'oggi: per esempio su realtà e
strade
diverse, quelle principali, su cui passano tutti, ma anche le stradine nascoste,
i luoghi frequentati ma anche le zone fuori mano? Non sarebbe più utile
aiutarci a essere attenti a tutti i diversi aspetti dei problemi, degli eventi,
o alle diverse sfumature delle posizioni politiche o culturali assunte da tizio
o caio, da quel gruppo o da quell'altro, da quell'istituzione o da
quell'organizzazione? Non siete voi quelli deputati a dare voce anche a chi non
ha voce? agli "invisibili", e non soltanto ai soliti
"noti"? Una volta, quando quelli più anziani di noi frequentavano le
scuole superiori, la storia che ci veniva insegnata era una materia
fatta solo di noiosi elenchi di vicende riguardanti re, papi, principi, nobili
e guerre. Tutta la vita dei paesi sembrava che si riducesse solo a quelle
vicende. Poi, dopo la Scuola delle Annales, abbiamo capito che la
"storia" era una materia più ricca, varia, fatta di molteplici
livelli, di infiniti protagonisti, fatta anche di gente comune e della vita di
tutti i giorni. Perché così varia, ricca, molteplice e plurale era la realtà dei
paesi, delle epoche e delle genti che la scienza storica intendeva
rappresentare. Oggi il vostro modo di fare informazione e i vostri giornali mi
fanno pensare, a quei noiosi libri di storia che studiavamo da ragazzi, magari
solo con un pò di contorni e di "pepe" in più!
3)
Inoltre poiché la realtà attuale è tanto interconnessa e non si riduce al
cortile di casa nostra, tanto meno al "pollaio" del nostro cortile,
non capiremmo meglio la nostra vita, se voi giornalisti foste più capaci e
preparati per aiutarci a guardare oltre i nostri confini nazionali,
oltre il nostro provincialismo, e a fare attenzione al vasto mondo, e ai
diversi mondi, di oggi? Non svolgereste meglio il vostro compito se faceste
in modo che anche altri popoli, del nord o del sud del mondo, dell'est o
dell'ovest, "esistessero" nella vostra informazione e
rientrassero anch'essi nell'ambito del nostro sguardo, non solo quando si massacrano
tra loro o sono vittime di qualche catastrofe, ma anche quando si
divertono, scrivono libri o fanno film, o quando inventano qualcosa o
sviluppano i loro sistemi scolastici e sanitari, o costruiscono le loro
relazioni sociali, o quando vivono il loro dolore e i loro sogni?
4)
Credete sia opportuno che i "professionisti dell'informazione"
tendano a trasformarsi in "intrattenitori" dei lettori o degli
spettatori? È vero che viviamo nella società dello spettacolo, ma vi pare
conveniente considerare e presentarci sempre anche il più banale e quotidiano
degli "starnuti" come fosse un evento straordinario? Mi sembra
che la mania di "arrivare primi" su fantomatiche notizie porta
facilmente a cercare di "spararla" più grossa dei concorrenti.
Vi pare davvero così noioso accettare il "sacro" compito di ogni
giornalista: quello di informare a 360 gradi, indipendentemente dall'effetto
che, a vostro parere, produrrà la pubblicazione di una notizia o la descrizione
di un fenomeno? Non sarebbe bene, nell'informazione, usare tutte le sfumature
dei colori e tutte le tonalità della voce, senza preferire solo i colori
forti e i toni urlati?
Ma
allora bisognerebbe anche che foste convinti che "notizie" non
sono solo le "cattive" notizie, e che è necessario fare
informazione anche su ciò che non è alla ribalta o non vi porta
alla ribalta. Per esempio fare informazione su ciò che funziona e su quello che
non funziona nella convivenza comune; su ciò che è brutto ma anche su quello
che c'è di bello, in questo nostro mondo; su ciò che richiama immediatamente
l'attenzione, ma anche su ciò che non fa audience, o non fa
"vendere" giornali e telegiornali. Altrimenti il rischio è
che, come voi sapete meglio di noi lettori e ascoltatori, a furia di cercare e
proporre solo notizie "vendibili" si finisce poi facilmente per
"vendere" anche l'informazione e con essa la stessa democrazia!
5)
Non sarebbe tutto più "leggibile", da parte nostra, se i giornalisti
ci aiutassero a distinguere non tanto tra i fatti e le opinioni, dal
momento che tutti i fatti sono sempre anche racconti e opinioni, ma tra "i
fatti" e "il racconto dei fatti". Noi cittadini lettori
siamo troppo abituati a considerare le "notizie" date da giornali o
da altri mezzi di informazione, come "dati" invece che il
"racconto dei fatti". Ecco, forse tutto sarebbe più chiaro se noi
conoscessimo anche perché avete scelto di dare "quella" notizia,
proprio in quel giorno e non in altri momenti; se noi sapessimo
"come" avete acquisito quella informazione; se conoscessimo quali
metodi e quali tecniche vi hanno guidati nel produrre le notizie che ci date, e
cosa vi ha portati a ritenere "quelle" notizie importanti per la
pubblicazione. A tale proposito, sarebbe tutto più chiaro se noi cittadini
lettori conoscessimo anche quali sono le direttive che i direttori dei
vostri organi di informazione propongono alle loro redazioni come "filtri"
per la produzione delle notizie, per quel giorno, e riuscissimo a capirne le
motivazioni. In questo modo, attraverso una maggiore "trasparenza",
saremmo anche "vaccinati" nei confronti dell'eventuale uso delle notizie, sia come filtri "opachi", sia come "armi improprie", invece che come strumento di comunicazione,
di conoscenza e di controllo democratico.
6)
Forse tutto sarebbe più chiaro ancora se i giornalisti ci facessero conoscere anche
ciò che manca alla loro informazione. Forse sarebbe tutto più chiaro se ci
dicessero ogni volta: queste notizie le ho verificate personalmente, in
scienza e coscienza, queste altre me le hanno comunicate altri, ma non
le ho potuto verificare; queste le ho ricavate da quel sito web o da
quell'agenzia di notizie, ma ci sono altri aspetti, positivi o negativi,
di questa questione che mi sfuggono.
Spero
non pensiate che il problema si possa risolvere solo separando, graficamente,
nei vostri organi di informazione, i cosiddetti "retroscena", i
"commenti", e le "notizie", come se questa fosse una
separazione oggettiva!
Se
è vero che l'informazione esercita una necessaria funzione critica in
democrazia, è anche vero che la critica è credibile se diventa anche
consapevolezza autocritica. Non vi pare strano che oggi, da parte degli organi
di informazione si individuino facilmente privilegi, vizi di casta e
interessi opachi in tutte le categorie sociali, mentre la classe dei
giornalisti non è mai oggetto di analisi da quel punto di vista?
7)
Un'ultima domanda: non credete, anche voi giornalisti, che, se nella proprietà
dei vostri giornali e dei vostri organi di informazione non ci fossero i grandi
gruppi finanziari o industriali o economici, l'informazione in
generale svolgerebbe meglio il suo ruolo e sarebbe più democratica? Infatti, in
realtà, è abbastanza evidente che oggi, nel nostro Paese come altrove, la
posta in gioco non sta nel conflitto tra governanti di una nazione o di
un'altra, né tra islam e occidente, né tra politici di destra o di sinistra, e,
paradossalmente, neppure tra politici corrotti o integri, come ritiene una
diffusa e ingenua "vulgata", ma nello scontro per il controllo
delle risorse del mondo tra politica ed economia, tra grandi poteri
economici e poteri politici, i quali ultimi appaiono oggi nettamente
più fragili e più sotto scacco che mai. Non è un caso se alcune ricerche
sociologiche hanno evidenziato che il cosiddetto "disamore" per la
politica e il conseguente individualismo è prodotto in gran parte non
prevalentemente dalla corruzione politica, sempre esistita da che mondo è
mondo, ma dalla percezione che tutti gli strumenti politici siano degradati e
irrecuperabili, percezione che è frutto anche di una incompleta e forse
interessata informazione.
A
chi credete che, tra i protagonisti di quella sfida decisiva per la
democrazia, di cui sopra, andrebbero i vantaggi del disamore per la
politica e del disinteresse per il "patto sociale"?
In
tal caso non credete, cari giornalisti, che quei legami, diretti, ma anche
indiretti come quelli derivanti per esempio dagli introiti pubblicitari,
tra organi di informazione e cordate finanziarie o industriali, andrebbero
seriamente analizzate e messe in luce da parte di una seria informazione
democratica?
Il
problema è: abbiamo giornalisti in grado di svolgere anche questo importante
compito?