È intrigante la lettura che Peter Sloterdijk fa del
racconto biblico del "diluvio universale", racconto presente nelle
scritture sacre ebraico-cristiane ma anche narrazione costante in molti antichi
racconti religiosi e mitici.
Sloterdijk sostiene
che il racconto del diluvio è un
vero punto di svolta nella
storia dell'umanità e della consapevolezza umana: nnm testimonia infatti la
presa d'atto, da parte degli esseri umani, che la natura non è più madre,
e che, a partire da quell'evento, realistico o simbolico che sia, il compito di essere madre nei
confronti di umani, animali e vegetali, è affidato ormai all'umanità. (cfr. Sfere II, Cortina Editore).
In altre parole, la
relazione materna, da quel momento, non è più solo un fatto biologico ma
diventa una imprescindibile categoria della cultura, diventa "un
asse portante della civiltà umana universale" (Luisa Muraro).
A partire da questa
interpretazione, penso si possa dire che, da quel momento in poi, si
è avviata una "trasformazione"
della modalità di "presenza", nel cosmo, da parte degli umani: essi non hanno più
l'incarico di farsi "dominatori"
della natura, ma piuttosto, e addirittura sotto forma di mandato da parte della
divinità,
come si desume dai testi, hanno la responsabilità di custodire, avere cura, sanare, nutrire, allevare, preservare tutto ciò che
vive, proprio come una madre fa con i suoi piccoli. Perciò la relazione
materna è così essenziale per l’esperienza umana: perché senza quella relazione
da cui riceviamo vita e linguaggio, natura e cultura, sarebbe
quasi impossibile definire la specificità del progetto umano.
Da qui si potrebbe
anche concludere che la drammatica e universale esperienza del “diluvio” ha
rappresentato, in un certo senso, l'atto di nascita della nuova umanità,
l'umanità adulta. Forse l'autentico “umanesimo” nasce proprio allora, e sta nel riconoscimento e
nell'accoglimento, progressivi e tuttavia laboriosi entrambi, del "primato
della relazione” nell’esistenza
umana, a partire dal primato della "relazione materna".
La relazione
materna nei confronti di tutto ciò che vive,
diventa, da allora in poi, ciò che costituisce l'umanità come umana, diventa
lo specifico dell'umanità.
Infatti nell’accoglienza
e nella salvaguardia del primato della relazione materna nei confronti
di tutto ciò che vive, si radica anche il riconoscimento del primato della relazione
nei rapporti interumani. E cioè, il riconoscimento di un qualcosa che unisce gli umani,
“prima” delle loro convinzioni e dottrine, prima della loro condizione o
posizione.
Di quel "qualcosa"
ognuno di noi è costituito custode, levatrice e responsabile. Quel
qualcosa è la fondamentale relazione umana. È la comune umanità.
Solo in questo,
credo, consista l'autentica "fede nell'umano". L'autentico
umanesimo.