Senza la
capacità di sentire "il lato soft delle cose, quel lato che ama il
piacere, che è spaventato dalla morte e nutre un forte scetticismo contro ogni
forma di 'maschile' aggressività" (Martha Nussbaum), in altre
parole, senza la capacità di riconoscere che abbiamo tutti un corpo e una
natura vulnerabili, la nostra democrazia non ha futuro!
Qualcuno
potrebbe considerare inadeguato questo accostamento tra i problemi della
democrazia politica, che tutti oggi tentiamo di risolvere riconducendoli su un
piano di astratta analisi razionalistica, e un approccio ascrivibile al campo
dei sentimenti e delle emozioni.
Eppure
forse è il caso di cominciare ad affrontare la crisi della democrazia
considerandola anche da questo punto di vista.
Ormai
dovremmo saperlo, di crisi della democrazia si è cominciato a prendere atto non
oggi, ma già a partire dalla "seconda sofistica", e cioè
quando la democrazia aveva appena cominciato ad emettere i primi vagiti. Il che
significa che, appena nata, la democrazia si è trovata subito davanti le
difficoltà e le aporie della propria autofondazione. Aporie e difficoltà
rimaste in piedi fino ad oggi, come dimostrano non solo le vicende della storia
e i dibattiti contemporanei, ma anche il fatto che la democrazia, ancora oggi,
è presente, pur se in modo imperfetto, solo su una parte del nostro pianeta.
Perciò
la ricerca di fondamenti e di argomentazioni razionali a favore della
democrazia non si può considerare conclusa, neppure oggi. E non tanto perché
qualcuno o qualcosa dall'esterno può mettere in pericolo la democrazia, ma
perché probabilmente i percorsi seguiti fino ad oggi per legittimarla e farla
diventare, non soltanto procedure istituzionali, ma comportamenti e
atteggiamenti acquisiti non sono stati sufficienti.
Ecco
perché quando Martha Nussbaum invita a recuperare il valore delle emozioni
nel campo della convivenza democratica (Emozioni politiche, Il Mulino),
quando invita a cercare, anche in quell'ambito, il collante delle democrazie liberali,
forse indica una strada da percorrere, per affrontare oggi la
crisi delle nostre società democratiche.
Insomma
se si cercano i fondamenti e le motivazioni del comportamento democratico
non si tratta solo della proclamazione e delle argomentazioni a favore dei
diritti, del valore di ogni persona, della partecipazione, della libertà di
critica, dei limiti al potere, della volonta popolare, del gioco di maggioranze
o minoranze, della possibilità di scegliere e cambiare i govenanti e neppure
solo del principio "una testa un voto"...c'è qualcos'altro in
gioco. Anche i principi e le procedure suddette, su cui tutti, sembra,
sono d'accordo, non possono legittimarsi solo con il ragionamento ma hanno
bisogno di radicarsi su qualcosa di più profondo che integri anche il
livello delle emozioni e dei sentimenti umani.
Perché
la democrazia non sia solo un guscio vuoto o un complesso di procedure
che prima o poi si corrodono e vanno in tilt, occorre che la democrazia non si
riduca a mero gioco di interessi, di forze e di poteri. Forse occorre un
fondamento e un legame più profondo, etico, senza il quale neppure il diritto
conserva la sua legittimità e obbligatorietà, nonostante il permanere delle
regole procedurali dello stato democratico.
Insomma
dove si può ritrovare e radicare la "passione dello stare insieme"
(J.L. Nancy), e dell'esistere insieme? dove, un'autentica "religione
civile", o quella "religione dell'umanità" (J.S.
Mill), che possono dare sostanza e continuità alla convivenza democratica?
A questo
proposito ha ragione Nussbaum quando scrive che qualsiasi ragionamento non sarà
mai in grado di funzionare bene senza l'immaginazione e il sentimento, e
cioè senza la capacita di immaginare cosa si prova ad essere nella
situazione di altri. Non si può parlare di convivenza democratica se
non si parte da qui.
L'esperienza
democratica, nel senso migliore, si radica sulla consapevolezza della
fragilità comune a tutti gli esseri umani, e si nutre del
sentimento corrispondente che è la com-passione. Non possiamo separare la democrazia da questi atteggiamenti fondamentali.
La
fragilità, non la perfezione, caratterizza la natura e l'esperienza umana:
perciò no ad assolutismi ideologici, no ad esclusioni, no al rifiuto di compromesso, no al pensare
agli altri come dissimili.
Non ci si
può chiudere soltanto nella propria sfera di valori, trascurando il
punto di vista e l'esperienza dell'altro, in democrazia.
Possiamo
prescindere dal fatto che la fragilità comune a tutti gli esseri umani
ci fa ritrovare tutti, in ogni situazione e in ogni scelta, spesso irretiti in un
insuperabile conflitto di valori, che rende lo schierarsi definitivo e
non negoziabile, da una parte o dall'altra, a volte, irrealistico? In questo conflitto talora insuperabile si radicano forse anche la crisi attuale dei partiti e i loro limiti costitutivi, come il parteggiare aprioristico e la pretesa di individuare una volta
per tutte la "giusta causa", di conoscere sempre la risposta giusta.
Cosa può
consentirci allora di sopravvivere e convivere in queste situazioni se non la
consapevolezza e l'accoglimento della comune e universale fragilità umana? E
quindi come non considerare fondamento solido dell'atteggiamento
democratico non tanto il gioco di forze e di numeri, ma soprattutto la com-passione,
frutto dell'immaginazione e di quella bella emozione che ci consentono di porci
sempre nei panni dell'altro, di ogni altro, anche del colpevole, almeno per ciò
che, ad esempio, la sua colpa gli toglie?
Quale
democrazia potrebbe durare se tutti noi, pur non rinunciando a desiderare e costruire la
giustizia, non fossimo capaci anche di amare e sposare l'imperfezione umana?
La
democrazia non può funzionare se ci si chiude in se stessi e ci si abitua a
considerare assoluta la propria sfera di valori; se si trascura il punto di
vista dell'altro o lo si acquisisce solo sul piano metodologico; se si pretende
di tranciare giudizi decisi, risoluti e aggressivi, senza l'opportuna dose di scetticismo
verso le proprie convinzioni.
In
democrazia, non dovrebbe trovare cittadinanza la pretesa di indefettibilità
e invulnerabilità; né da parte dei politici né da parte di ogni
cittadino.
Ma è
possibile tutto questo, senza il riconoscimento e l'accoglimento consapevole
della fragilità comune a tutti gli esseri umani?
È
possibile educarsi alla democrazia senza educarsi alla compassione?
2 commenti:
Ieri ho appuntato alcuni pensieri espressi da Simone Weil nel
Film "Le stelle inquiete".
Uno di questi è "non ci sarebbero guerre senza paura". Ma la paura è connaturata nella nostra fragilità. Nei momenti di crisi essa predomina e ci soggioga, fino a rinchiuderci nell'egoismo e ad indurci a sposare le ragioni dei potenti, pur di non perdere posizioni e privilegi. Questa paura supera, o forse esorcizza, quella collegata alla nostra condizione di creature limitate e transeunti. Diventiamo ciechi e indifferenti a quanto accade nello spazio-bene comune della polis e della democrazia, l'istituto garante della libertà, che non è mai definitivamente fondata, ma va alimentata e rinnovata continuamente dalla partecipazione con la mente e il cuore e l'opera di ciascuno.
Per questo, parole-azione come "rottamare" o "asfaltare" inducono paura e malessere. Così come genera aggressività spingere forsennatamente la leva della competizione. In un clima siffatto la guerra è dichiarata, e di conseguenza si costruiscono trincee e ognuno affila le armi che ha.
È necessario farsi coraggio. Citando ancora Simone Weil: "la vera forza del coraggio è la speranza".
Comincio a sentire disagio in una società così "veloce e razionale", dove non c'è tempo per la compassione. Si, per compatire abbiamo bisogno di fermarci, riflettere e porci di fronte all'altro. Ma sembra diventato tutto così schizofrenico e il sentimento una debolezza che non si coniuga bene con il concetto di produttività e profitto. Sarebbe bellissimo recuperare il senso ella "fragilità umana" di cui scriveva Mill in tempi "meno democratici" e farla diventare un punto di forza, di partenza.La com-passipne abbatterebbe quei muri che oggi si stanno erigendo a difesa del proprio "nulla"
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