Uno dei doni più preziosi che ricordo di aver ricevuto (ma...c'è qualcosa di quello che
abbiamo e siamo, che non abbiamo ricevuto?) è quello che mi ha fatto un docente, quando,
prima di accettare una mia ipotesi di ricerca, nel contesto di un seminario
universitario, mi ha chiesto di fare lo sforzo di ricostruire il percorso
mentale che mi aveva spinto a decidermi proprio per quel tipo
di ricerca. Quali motivazioni mi avevano guidato, e, perché "quelle"
domande?
Ricordo di aver riempito quasi quattro facciate di un
foglio "protocollo": non ci avrei mai creduto, soprattutto perché avevo interpretato solo come
eccessiva e un pò
eccentrica quella richiesta. Tuttavia, l'avevo accolta senza chiedere
spiegazioni, perché, si
sa, all'università, gli
studenti devono abituarsi anche alle "stranezze" dei loro professori!
E, invece, quella richiesta e quello sforzo
mi hanno costretto a portare alla luce il mio "non detto", mi
hanno orientato a un rapporto più consapevole e "critico" con me stesso, mi
hanno reso attento alla complicata genesi, non solo intellettuale, delle
mie e delle altrui idee, insomma mi hanno "iniziato" a
un diverso approccio al sapere, alla conoscenza, e anche alla
comunicazione.
Naturalmente, di tutto questo sono diventato
consapevole solo a distanza di tempo, man mano che ho provato e riprovato a
confrontarmi autonomamente con quella richiesta e quello sforzo. Fino a farli diventare
un vero e proprio "metodo", nei vari ambiti della mia esperienza.
Allora ho compreso che quel mio docente mi aveva regalato qualcosa di veramente
essenziale, nella vita.
Ho capito allora che la domanda basilare, che dovrebbe
sempre guidarci, non solo nel campo della ricerca, è: chi o che
cosa determina il mio, o l'altrui, punto di vista? In effetti è vero, come scrive James
Hillman, che tutte le volte che si fa una domanda non si vuole soltanto ottenere
una risposta. Perché, quasi sempre, la vera
risposta è: perché la mia domanda
è questa?
Certo, accettare questa prospettiva, ci porterebbe a
intraprendere viaggi interiori complessi e intricanti che non si fermerebbero
all'ambito intellettuale, ma si inoltrerebbero nel labirinto della personalità e delle nostre storie
personali; ci costringerebbero ad attraversare le onde impetuose delle emozioni
e dei ricordi; porterebbero in superficie, inconsapevoli ma determinanti
presupposizioni di ogni genere, annodate in grovigli a volte
inestricabili.
Certo, dovremmo accettare che, molte volte, anche se
crediamo di avere la barra in mano, è qualcos’altro a manovrare il timone dei nostri percorsi
intellettuali ed esistenziali. Certo, quei viaggi ci imporrebbero anche, talora,
di intersecare le vite e le storie degli altri, lì dove le nostre relazioni
con loro li fanno diventare parte di noi come noi di loro. Certo,
saremmo forse anche catapultati, dal nostro “angolo” limitato, nell'avventurosa storia delle idee e delle
credenze umane fino a renderci conto che "la sostanza prima dei nostri
pensieri è una
ricchissima informazione, raccolta, scambiata, accumulata e
continuamente elaborata" (Carlo Rovelli).
Certo, un viaggio del genere, a partire da quella
domanda, apparentemente semplice e banale, "perché la mia domanda è questa?", potrebbe
farci scoprire, all'improvviso, come in un risveglio, che a fare
la verità
del nostro dire e del nostro domandare,
prima di qualsiasi scontata definizione, non è altro che la nostra esperienza ancora "non detta" (Lyotard).
E allora? Non sarebbe,
ugualmente, per chi non crede di aver finito di capire sé e gli altri, un affascinante,
"necessario" esercizio?