Forse tutto accade perché siamo
ancora ai primi passi, su questo “nuovo
pianeta”, che abbiamo, da poco, scoperto, e di fronte al quale siamo ancora
disorientati. Forse non siamo ancora attrezzati
adeguatamente, per percorrere i primi, impervi, sentieri del nuovo e
sconosciuto mondo della RETE.
O, addirittura, stiamo
replicando la presunzione e l’arroganza
di quel manipolo di rozzi conquistatori, che, cinquecento anni fa, “spianarono”
le terre americane, il “nuovo mondo” di allora, misconoscendo e distruggendo novità,
diversità, culture, popoli e persone! Tanto, ormai, siamo tutti convinti che
non ci crei nessun problema ignorare la storia, pure se ciò ci condanna a
ripeterla in modo banale! Mentre, in realtà, solo la consapevolezza della
storia renderebbe, anche nel nostro caso, umili e aperti al nuovo e
all’improbabile.
Forse occorrerà del tempo,
come è accaduto a quegli altri, per imparare finalmente a riconoscere valori, prospettive, orizzonti, stili di vita e
atteggiamenti nuovi, impliciti in questo “nuovo mondo” della rete.
A me pare, infatti, che
appartenga alla logica stessa della
“rete” – direi alla stessa conformazione
fisica di questo nuovo “ambiente”
- la possibilità, l’opportunità e la “necessità”, dello scambio “alla pari”,
del dialogo
continuo, dell’ascolto, per la ricerca e la scoperta di sempre nuove
prospettive sul reale.
A me pare che non si debba perdere
questa opportunità, e non si debba guardare a questo nuovo “medium” solo come a
un megafono o una “vetrina” o un “mezzo di comunicazione”
più potente, o magari un nuovo giocattolo con cui caracollarsi attraverso il tempo e lo spazio.
A me pare che, come ha
scritto D. De Kerckhove, noi ci
stiamo addentrando in un nuovo “ambiente” formativo, in un nuovo “brainframe”, una nuova cornice per il nostro cervello, che ci costringerà a porci
diversamente di fronte alla conoscenza, in una logica di globalità, di interconnessione e sperimentazione
permanenti. Con potenzialità nuove nell’impostazione e nella soluzione dei
nostri problemi.
Insomma, a me pare che abitare
la rete dovrebbe educare a uno “stile”
diverso, direi quasi a una specifica etica: all’apertura, all’ascolto, alla ricerca comune, all’incrociarsi delle voci e dei volti, quasi ad esaltare il
“mistero” dell’incontro: ciò che non è
mai stato possibile, prima d’ora, in
questa misura.
Non è il caso di servirsi
della rete per moltiplicare le
“cattedre”, ma piuttosto per diventare tutti
discenti e interessati a scoprire i mille volti e i mille “giochi” del reale.
E invece assistiamo ad un
proliferare di “oracoli”, di maestri titolati o improvvisati, di profeti e chiaroveggenti,
di “giudici supremi”, di spavaldi detentori e noiosi dispensatori di verità, i quali – siano essi politici, uomini di
cultura, giornalisti, imprenditori, esperti a vario titolo, credenti o
religiosi, neofiti della rete, o semplice amici che parlano ad altri amici – ogni
volta che dicono qualcosa, pretendono di enunciare,
tutti, verità assolute e definitive, su ogni genere di questioni, dalle più
banali e quotidiane a quelle più impegnative o serie.
Ma come è possibile? Si è lottato
tanto per rifiutare o ridimensionare autorità,
padri, maestri, certezze e poi ci ritroviamo tutti teorici di un “pensiero
unico”, tutti certi del valore indiscusso di un’unica visione o interpretazione: la propria! Nel tempo dell’indeterminazione,
della rivoluzione epistemologica e
del rifiuto dei dogmi, si può essere tutti “dogmatici” e convinti che possa esistere una sola lettura del reale?
Tutti incapaci di comprendere che i “concetti”
non sono - mai - la “realtà”, le “parole” non sono – mai - le “cose”?
A proposito di parole,
alcune come “forse”, “a me sembra”, “io suppongo”, “credo”, “non ne sono sicuro”, “tu che ne pensi?”, “potrebbe essere”, “verifichiamo”,…ecc.,
sembrano scomparse dalla comunicazione e dal dibattito, non solo sulla rete,
ovviamente.
Vogliamo cominciare a riutilizzarle?
La rete, per sua stessa
natura, può essere scuola di un sapere nuovo, sempre in progress: un
sapere descrivibile dalla metafora
della “rete”, appunto, e non da
quella dell’”edificio”; un sapere che
ci parla della realtà come una rete di rapporti, in cui, anche le nostre descrizioni
formano una rete interconnessa e
dinamica, fatta di conoscenze limitate e approssimate, sempre rivedibili. Questo tipo di sapere esige un diverso
approccio alle questioni e un metodo
nuovo, oltre a una nuova etica, forse.
Quanti anni dovranno passare
prima che impariamo a leggere in questo nuovo
“sillabario” e a scrivere correttamente in questa nuova lingua?