Se
fossimo capaci di guardare agli eventi con l'occhio dello storico - se non
fossimo tanto assuefatti al nostro divorzio dallo studio della storia - allora
riusciremmo a comprendere che le dimissioni di Papa Ratzinger costituiscono un
vero terremoto, che non mancherà di avere conseguenze - non necessariamente
negative - nella vita della Chiesa cattolica e forse nella storia del
cristianesimo! Se avessimo maggiore coscienza storica non leggeremmo quello che
sta accadendo solo con le lenti, italiane, troppo italiane, di una politica
spicciola e miope. Se sapessimo arrampicarci sulle spalle della memoria
storica, allora capiremmo anche che un evento del genere non riguarda solo la
chiesa o solo i credenti, ma è destinato a smuovere, nel profondo,
organizzazioni, idee e mentalità. Proprio come un terremoto, con un ipocentro
molto profondo, è in grado di riconfigurare, nel tempo, ampie aree della crosta
terrestre e dei continenti, anche al di là degli effetti più direttamente
visibili e superficiali.
Ma
cosa sta accadendo?
Lasciando
da parte l'analisi delle motivazioni reali, soggettive e oggettive, del gesto
di Ratzinger, che il tempo aiuterà a portare alla luce, più di quanto non si
possa fare oggi, tentiamo di cogliere gli orizzonti di senso contenuti
nell'avvenimento.
Una
prima considerazione deve fare i conti con un paradosso. Infatti, pare capiti
spesso che eventi rivoluzionari siano avviati, consapevolmente o meno, da
personalità dall'indole conservatrice! Anche nel caso che qui analizziamo è
successo qualcosa del genere. Il Papa che, con forza, ha combattuto contro
l'applicazione del modello della discontinuità, nell'analisi della storia della
Chiesa, (vedi il caso dell'interpretazione del Concilio Vaticano II), è quello
che, in effetti, ha introdotto una profonda discontinuità (dagli esiti
imprevedibili) nella tradizione della Chiesa, con una decisione che, pur
prevista "teoricamente" dal Codice ecclesiastico, interrompe una
prassi che, in sostanza, era millenaria.
Seconda
notazione. Non credo sia esagerato affermare che questo evento, nel contesto
del mondo contemporaneo, è paragonabile, per le implicazioni che ha, alla fine
del potere temporale! Anche quello, (peraltro non scelto!), metteva fine, in
modo traumatico per i credenti, a una prassi secolare, con profondi effetti, all’interno
e all’esterno della Chiesa cattolica: tuttavia, per la mentalità del tempo, il
fatto poteva essere letto anche solo come una sottrazione di territorio e di
potere a una dinastia regnante - il che non era infrequente - lasciando però
intatte la figura e l'autorità religiosa e morale del Papa, come dimostrò poi
la celebrazione del Concilio Vaticano I (1869/70). La decisione della
"rinuncia", da parte del Papa, invece, che pone fine al "papato
a vita", va a interagire con Ie questioni della tradizione, della
conservazione e della stabilità, non soltanto religiosa. E, in un certo senso, fa
venire in superficie la crisi dell'autorità insieme con le modalità del suo
esercizio.
Finanche
il vecchio detto popolare: "a ogni morte di Papa....", traduceva l’associazione alla figura del Papa, - che, una volta eletto, doveva restare "per
sempre" Papa, fino alla morte, - della nozione di immutabilità e di
impossibilta pratica del cambiamento o della novità. In tal modo, il papato,
nell’opinione comune, era visto garante, di sicurezza, tradizione e
conservazione dell'ordine, anche sociale. È evidente allora che la decisione di
Ratzinger, dissociando la "persona" del Papa dalla
"funzione", dinamicizza il ruolo papale pur relativizzandolo, in un
certo senso. Il papa, "a tempo", è spogliato dell'aura sacralizzante
e quasi divinizzante a vantaggio di una visione più umana, e, per usare il
linguaggio della fede, più comunionale ed evangelica.
La
terza notazione riguarda proprio l'interruzione del papato a vita. Nel contesto
della cultura contemporanea questo fatto può contribuire a far uscire la Chiesa
da una condizione che, nella sua espressione più visibile, rischia di apparire analoga
a quella di un museo, orientando quindi verso il ringiovanimento dell'immagine
che si ha di essa, attraverso la figura di un papa più giovane. Ma non è solo
una questione di immagine pubblica. Perché è abbastanza naturale e verificabile
che in una struttura di governo dove, nelle mani di una sola persona sono
concentrati troppi poteri decisionali e di varia natura, una condizione di
vecchiaia avanzata, di malattia e quindi di lieve inabilità, anche solo fisica,
del "monarca", può generare tensioni, rivalità e intrighi di
"palazzo" tra i collaboratori.
E
poi, oggi più di ieri, appare di difficile comprensione il fatto che, a guidare
la Chiesa, nata da un "movimento" messo in moto da un giovane galileo
trentenne, debba essere sempre gente molto anziana, in genere incapace di
"giocare" e di "danzare", come tutti gli esseri umani,
stando alle immagini proposte dal noto film di Moretti, che qualcuno ha
considerato chiaroveggente, in relazione agli eventi di questi giorni.
A
questa è legata un'ulteriore considerazione. Infatti la decisione di Papa
Ratzinger legittima anche un'altra deduzione: l'idea cioè che colui, a cui è
affidata la guida della Chiesa mondiale, debba essere dotato anche di evidenti
competenze e abilità umane, sia fisiche che intellettuali e psicologiche, oltre
a quelle spirituali e di fede. Ciò è tanto più necessario in un mondo
caratterizzato da rapidi e continui mutamenti. Per cui, se è lo Spirito di Dio
che sorregge coloro che scelgono il Papa, anche loro devono fare tutta la
propria parte nel modo migliore, con discernimento, non trascurando nessun
aspetto.
La
quinta considerazione ha a che fare, potremmo dire, con la questione del "sabato". "
Il sabato è fatto per l'uomo, non l'uomo per il sabato". Qui c'è il
recupero di un messaggio molto umano del Vangelo del Nazareno. In effetti, papa
Ratzinger, con il suo gesto, ha posto come criterio ultimo di valutazione
dell'opportunità di rimanere sul trono pontificio, la sua coscienza, libera e
informata, dandole una priorità anche nei confronti dell'organizzazione. In
fondo è lui, in quanto soggetto, che decide “se” la Chiesa ha bisogno di lui, anche indipendentemente dalla
scelta della comunità. È la chiara rivendicazione del tradizionale principio
del primato della coscienza individuale, riaffermato ed esplicitato, non a
caso, dal Concilio Vaticano II, ma, nel contesto della sensibilità
contemporanea, è molto di più.
Infine,
mi pare evidente che, in questa decisione del Papa, prenda forma anche
una rinuncia libera e volontaria a una posizione di potere enorme. Questo fatto
costituisce, di per sé, anche un input di rilevanza etica, evidentemente, dal
momento che, normalmente, gli uomini di potere non rinunciano spontaneamente al
loro posto, a meno che non gli venga tolto, o dalle leggi o da forze contrarie,
o dalla morte, nel caso del Papa e dei monarchi. Tuttavia, e questo è più
importante, è ipotizzabile che questo fatto, questo "precedente",
nell'attuale nostra società "trasparente", costringerà a porre
diversamente non solo le modalità dell'esercizio del potere papale nella
Chiesa, ma anche il rapporto della Chiesa con il potere in generale.