In tempi di crisi profonda sono poche le alternative che si hanno a disposizione, nei rapporti sociali. Direi che si riducono a due
sostanzialmente.
O si vive sulla base di una visione della vita come rapina
oppure si parte da una visione dell’esistere come dialogo.
Vivere la vita come rapina significa prendersi tutto quello
che si riesce ad afferrare. Sottraendolo agli altri. Fregandosene degli altri. Evitando
di far attenzione ai “volti”. E soprattutto senza portare il conto delle
vittime! In momenti di crisi, questa è una tentazione ricorrente, a ogni
livello sociale (infatti, ci sono grandi ladri “professionisti” o criminali, ma
anche “ladri di polli” e “balordi”!). Si è sempre detto, infatti, che nelle situazioni dure emerge la belva che è in ognuno, si fa strada la giungla
originaria della condizione umana, o, facendo un grosso torto alla storia, il
“medioevo”. “Medioevo prossimo venturo” era il suggestivo titolo di un libro
scritto, proprio nel contesto di un’altra grave crisi, alcuni decenni fa.
Però, questa alternativa se la possono permettere, senza
grossi rischi per loro, solo i “potenti”, di ogni tipo, i quali sono abituati e
allenati a vivere la vita come rapina. Loro non badano agli “effetti
collaterali”. Anzi li chiamano così proprio per questo. Per non doverli
conteggiare. È anche vero che i potenti di oggi non sono tutti così rozzi. Ce
ne sono anche di sofisticati. Ci sono i potenti “di classe”, i violenti “con stile”.
Quelli che “indossano morbide vesti” e abitano i “palazzi dei re”, ha detto una
volta Qualcuno, riferendosi a gente da evitare e da non osannare né cercare. O anche
quelli, per esempio, che mascherano una condanna alla disperazione, per
milioni di esseri umani, con l’apparente neutralità o “oggettività” dei numeri!
Quelli che considerano un fatto “naturale” e non modificabile che un quinto
della popolazione mondiale disponga dell’82% cento delle risorse. Sono quelli nelle
cui mani non bisognerebbe mai mettere i destini del mondo, perché sono
incapaci, per condizione o per scelta, di “vedere” la verità della condizione
umana.
Concepire l’esistenza come dialogo è l’altra possibilità. Però,
attenti! Dialogo come visione dell’esistenza non è il dialogo come strumento
pedagogico. Non è il dialogo come “metodo”. Anche molti potenti o violenti “raffinati”,
oggi, usano il dialogo come metodo. In fondo che cosa è anche l’attuale
marketing se non una versione tecnologica di metodo dialogico? Assumere il
dialogo soltanto con questi significati può essere una forma di violenza subdola. Sarebbe bene esserne consapevoli!
Il dialogo, come visione dell’esistenza, invece, è l’esistere
umano stesso. Mentre quell'altro significato di dialogo può coesistere sia con
la violenza e l’asimmetria nel rapporto, sia con l’assenza di verità o il
cinismo, questa visione ha bisogno di non rinunciare all'aspirazione e alla ricerca della
verità delle cose. Mentre l’altra visione del dialogo è solo un continuo adattamento
del sé, al fine di usare una situazione o trarre vantaggi da un rapporto, questa
visione è una continua, vera, costruzione di se stesso attraverso il dialogo. Mentre l’altra visione
del dialogo è prendersi gioco degli altri, questa è mettersi in gioco con gli
altri. Mentre la concezione del dialogo solo come metodo, tendenzialmente, è il
tentativo di ridurre l’altro a se stesso, il dialogo come visione dell’esistenza
è accoglienza dell’estraneità dell’altro e riscoperta di sé, in tal modo. Mentre
l’altra visione del dialogo può diventare irenismo di maniera, o una forma di
buona educazione o di “democrazia procedurale”, questa visione è sempre anche lotta
per un nuovo futuro comune.
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