“L’arte
non riproduce il visibile, ma lo rende visibile”. La comune, e ingenua, convinzione che il visibile delle cose sia visto in modo ovvio e «naturale», «senza sforzo», sembra rendere quella frase paradossale,
quasi una forzatura. Eppure quell’affermazione di P. Klee dà da pensare! E non
è un caso che sia un pittore, un artista
a pronunciarla. Infatti “il pittore non ci fa vedere quel che anche da soli avremmo visto, ma ci restituisce una visione inedita, ci
fa vedere le cose con un occhio diverso
da quello abituale. La pittura autentica, scoprendo alla nostra vista quel che ci sfuggiva, suscita scandalo
spesso, stupore sempre” (A. Masullo). Questo perché l’artista appartiene a quella categoria di individui, come i mistici e gli amanti, in grado di trascendere il significato superficiale che le
cose hanno di per se stesse. Abbandonare
una comprensione troppo immediata delle cose e delle
persone e riuscire a cogliere e rivelare
ciò che rimane nascosto in esse, richiede un
altro “sguardo”, uno sguardo profondo,
frutto, o di speciale dote naturale, o di lungo
esercizio. Credo però che valga la pena fare questo allenamento perché,
probabilmente, scoprire ciò che rimane
in ombra in ciò – cose o persone
- che ci sta intorno è forse “vedere”
veramente. Da questo punto di vista, vivere
è una questione di “sguardi”.
Dicevo prima artisti, mistici e
amanti. Bene, “nel
mondo moderno – ha detto una volta R.
Panikkar – solo i mistici sopravviveranno. Gli altri
saranno soffocati dal sistema, se vi si ribellano; o affogheranno nel sistema,
se vi si rifugiano”. È vero che
spesso la mistica è stata descritta
come una sorta di esperienza elitaria (aure
luminose, levitazione, stimmate, ecc.), indifferente alle sofferenze umane,
lontana dalle situazioni concrete in cui vive la maggior parte degli uomini. È
stata vista come una condizione di élite al riparo nelle sfere celesti. Ma forse
ha ragione Panikkar quando scrive che la mistica non è null’altro che l‘esperienza integrale della vita e
il mistico è colui che è aperto alla
vita nella sua totalità, colui che la
sa “vedere”! È anche
vero peraltro che le religioni, da cui la mistica è in
genere prodotta, hanno guardato sempre con un certo sospetto a questa dimensione.
É strano, per esempio, che anche i cristiani
abbiano con il tempo oscurato
proprio questo aspetto così centrale nel loro messaggio. Infatti, se le religioni, nel loro significato autentico, sono il
riconoscimento del mistero nascosto nel reale, credo che il cristianesimo, che non
riesce a immaginare il divino se non
“incarnato”, addirittura “kenotico”, dovrebbe pensarsi, più di altre visioni religiose, come “disvelamento”
del visibile! ”Caro
cardo salutis”, è stato detto nei
primi secoli del movimento cristiano (Tertulliano). Altro che disprezzo del
sensibile e del visibile! Anche la fede cristiana dovrebbe essere prima di
tutto una capacità di “vedere”, una questione di “sguardo”, di educazione
dello sguardo. Peccato, per noi umani,
che questo carattere sia stato spesso perso o lasciato ai margini e depotenziato.
Amanti. Non
capita qualcosa del genere anche con l’amore? Altra esperienza di
“disvelamento” del visibile! Altro momento “magico” umano (pur se spesso
fuggevole e precario) , altro sguardo sui “visibili” e sull’apparire, di cui l’amore,
l’amante, sa cogliere l’essenza
impensata e impensabile (non rende visibile il visibile, l’amante, quando “scopre”
“fantastica” la banalità dell’amato e dell’ordinario?). Sarebbe capace di “conoscerlo”, di accoglierlo,
di donarsi e di amarlo se non
avvenisse questo “miracolo” dello sguardo, magari per un solo momento? Sarebbe
possibile se continuasse a vedere nell’amato quello che tutti “si accontentano” di vedere? Quello che egli stesso vedeva
fino a un momento prima? Quello che per abitudine o superficialità presumiamo di vedere negli altri e
nelle cose che incontriamo? Anche l’amore, come l’arte, come la mistica,
si rivela un compagno naturale di una
conoscenza “altra”, e più vera forse, nella misura in cui apre finestre sul visibile, inventa
prospettive, allena a guardare meglio
e “diversamente”. E quando viene
meno quella “competenza” artistica,
quella abilità a rendere visibile il
visibile, anche il rapporto di amore può diventare, e diventa, routine,
abitudine, precetti, obblighi, prestazioni,
struttura, rapporto di potere o di scambio, ritualismo, ecc. In altre parole, perdita della capacità di
“vedere” l’altra/o. E non tanto, o non solo, perdita della capacità di vedere l’interiorità
dell’altro, come talora si dice. No, non si tratta di questo! L’esercizio che
qui viene proposto non mira a recuperare una forma di platonismo, che giochi
sulla differenza tra esteriorità e interiorità. Ciò a cui qui si vuole orientare
è un auto-addestramento che scongiuri
la perdita della capacità di vedere realmente anche il “visibile” dell’altro e delle cose. Il fatto è
che ci sfugge, sempre più spesso ormai,
e inconsapevolmente, non solo l’animo
o l’interiorità degli altri e delle cose, ma addirittura il loro essere
visibile! È un po’ come quando siamo talmente assuefatti a luoghi,
cose, persone, da non notarne più la “presenza”
o da non riuscire più ad apprezzarne le qualità, l’unicità, la specialità,
l’identità.
E allora vuol dire che abbiamo bisogno,
di nuovo, di reimparare a guardare, di addestrarci
a vedere ciò che è visibile e sta lì
davanti ai nostri occhi!
2 commenti:
Forse “un altro sguardo” è una dote naturale, una grazia che trasforma in amante chi l'ha ricevuta. Un amante nel senso spiegato da Diotima di Mantinea. E quest'amante è per forza “svuotato”. E l'esercizio d'amore è tutta la sua vita innamorata dell'ordinario e del banale di cui il suo sguardo, addestrato ad amare, abbraccia le infinite sfumature. Fuggono gli uomini in cerca dello straordinario, il paesaggio mirabile, lo scorcio mozzafiato da fotografare. Non sanno che nei loro occhi hanno le vette più sublimi e gli abissi più misteriosi. E per questa scoperta c'è bisogno di “esercizio” quotidiano di tutti i sensi, in un quotidiano rallentato e desertificato. In fondo la parola “ascesi”, propria dei mistici, deriva dal verbo greco “askéō” “io esercito”. L' “ascesi” è esercizio fisico di attenzione protesa, di empatia con tutte le “laudabili” creature dell'universo.
Grazie anonimo lettore per questo commento che integra il senso del post e offre una strada, un "metodo" per gli "esercizi" !
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