E se fosse vero? Se fosse vero
come sembrano ritenere i filosofi anglosassoni che domande tipo “qual
è il senso della vita?”, “perché
esiste qualcosa anziché nulla?”, “perché
l’Essere?”, sono solo pseudo domande?
Se fosse vero, come essi pensano che quelle domande sono solo un modo un po’ enfatico
di dire, semplicemente, davanti agli
esseri, “Wow!”?
Potremmo inoltre ulteriormente dissacrare o “destrutturare” quel tipo di domande chiedendoci anche cosa c’è veramente dietro quelle domande. Perché in un mondo
come il nostro, in cui le categorie dell’economia
sono talmente determinanti da condizionare il
modo come pensiamo la vita, le relazioni, le persone, le cose, l’amore, il
futuro, le comunità, la nostra identità stessa, in quelle domande si potrebbero
celare diverse e inconsapevoli domande
del tipo “vale più questo segmento della vita o quell’altro?”, “quanto vale quella
persona o quell’esperienza?” o “che prezzo devo pagare per ottenere quella
relazione o avere quell’amore?”...ecc. E poi potrebbe addirittura accadere, in
una società dove domina il primato dell’economico, che chi ti propone quelle domande voglia solo fare marketing e forse solo dirti che il prodotto o il “pacchetto” che egli ti propone è più conveniente o più
soddisfacente di quelli della concorrenza!
Se invece non ci fosse una risposta e la domanda davvero non fosse altro che un
“Wow!”’? Sarebbe solo una svalutazione di domande ormai “secolari”?
Non potrebbe essere proprio quel “wow!” la
risposta stessa? Non potrebbe rappresentare quel “wow!” il modo migliore di
accorgersi di ciò che uno dei grandi
maestri del 900, Wittgenstein,
chiamava il “mistico” e cioè il semplice e incredibile
“fatto” che “il mondo è”, che le
cose sono? Non potrebbe quello essere la modalità più consona di approccio alle cose? A ogni singola cosa,
a ogni singolo essere, a ogni singola persona? Non potrebbe essere quello il modo,
che già Aristotele chiamava “stupore”
o “meraviglia”, e che, a suo parere,
sarebbe l’unico modo veramente “umano”
di approccio a tutto ciò che esiste? L’unico modo che riconoscerebbe l’effettivo
“valore”, l’effettivo senso, l’effettiva “bellezza” di ogni cosa, qui
e adesso?
Non sarebbe quello l’unico modo
che riconcilierebbe con la vita così
come essa è? L’unico modo con cui gli umani potrebbero esprimere il loro “si” alla vita, come invocava
Nietzsche? E il “si” a ciò che esiste non sarebbe la vera risposta alla domanda sul senso della vita?
E questo approccio non ci
libererebbe dalla mania diffusa di stabilire
sempre confronti per rassicurarci sul valore di quello che siamo, di quello
che viviamo, di quello che desideriamo, di quello che abbiamo, finendo alla
fine col non apprezzare e godere di
nessuna cosa, veramente? Ritrovandoci poi, alla fine della vita, nella
condizione di non poter dire con convinzione, per usare la frase di Neruda, “confesso
che ho vissuto!”, ma di recriminare e rimpiangere quello che non abbiamo o non
abbiamo avuto? Se la mania del confronto è collocata “al centro della vita”, se
dirigiamo sistematicamente il nostro
sguardo altrove, se ci lasciamo determinare da ciò che vediamo, finiamo per
“assomigliare a una spugna o a uno schiavo che esiste solo in virtù dell’imitazione”
(A. Jollien, Cara Filosofia, Angelo
Cola Editore). Questo tipo di confronto produce la cecità di fronte alle cose, alle esperienze, alle persone.
Invece, come nota Alexandre
Jollien, nel bel libretto citato sopra, fatto di “Lettere ai grandi Maestri”, in
una lettera in cui dialoga con Baruch
de Spinosa, i soli confronti che potrebbero
essere utili sono quelli che rappresentano un mezzo per progredire, come quando
utilizziamo il confronto in modo da evitare di “bruciarci due volte le dita per
sapere che l’acqua bollente è pericolosa”. O quelli che sono un modo per
accorgerci che anche l’altro esiste, e che esistono diversi approcci al mondo. O quelli che
ci fanno assaporare le differenti espressioni e i differenti volti della vita.
Solo in questi casi invece di
vivere solo in funzione dei nostri simili, invece di farci prendere dallo
scontento, dal rammarico o dall’invidia, conserviamo la capacita di dire “Wow!”,
di comprendere davvero il senso della
vita!
2 commenti:
Dopo la morte di mio padre (1992) mi capitò per diversi giorni di svegliarmi e di meravigliarmi di essere ancora vivo. Ho scoperto allora la dimensione della "meraviglia" di fronte al mistero della vita.
“ WOW !!! ” o… “ PERCHE’ ? ”
Il prezzo che l’Uomo ha dovuto pagare alla Civiltà è stato il “perché?” seguito al “wow!”, alla pura e semplice, meraviglia iniziale.
Il “perché?” ha sterilizzato la meraviglia, che colpiva l’ingenuo Uomo ai suoi primordi.
Sulla “meraviglia” l’Uomo ha costruito intere Civiltà con relative Religioni, che l’hanno accompagnato per millenni.
Nel momento in cui i tempi di durata della “meraviglia” si sono accorciati, sempre più, perché l’Uomo l’ha sostituita con “l’indagine”, con la Conoscenza, sempre più sofisticata, del “Fatto”, ecco che il “wow” è diventato effimero e depotenziato, lasciando l’Uomo sempre più solo ed in affanno.
Basterebbe fermarsi al “WOW !”, senza indagare, per ritrovare l’equilibrio, la gioia perduta?
L’Uomo non è fatto per seguir…conoscenza?
ALLORA ?
Ad ognuno la scelta di fermarsi, ogni tanto al….” Wow!!! “
Mario R. Celotto.
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