mercoledì 29 marzo 2023

In principio fu il disagio

 Cosa perdiamo quando guardiamo un film e badiamo prima di tutto al “significato”, preoccupandoci di tradurre in linguaggio logico e coerente il flusso delle immagini, invece di lasciare ad esse l’iniziativa e farci guidare dalle loro suggestioni?

Cosa perdiamo quando davanti a un quadro cerchiamo i testi e i concetti di cui quelle immagini sarebbero la visualizzazione, invece di farci provocare dal gioco di quelle forme e quei colori, che precedono testi e  concetti?

E soprattutto quanto perdiamo se nell’ascoltare un esecuzione musicale ci lasciamo sequestrare dalle parole, invece di consentire alle note di accompagnarci nel territorio dell’indicibile? Cosa perdiamo se la musica diventa solo “parole in musica”?


Vi siete mai fatte queste domande? Io mi sono fatto spesso questo tipo di domande. Non ho saputo e non saprei ancora rispondere. 

Mi sono solo chiesto come poter lasciare al cinema, alla pittura, alla scultura, all'arte, alla musica, ecc. di esprimersi con le loro voci e le loro lingue diverse e irriducibili. 

Come riuscire, per esempio,  a intuire anche vagamente - e lasciarsi rapire - da quella logica-non-linguistica e radicalmente non-testuale con cui le immagini producono in noi sensi e saperi (G.Boehm).?


Come sperimentare e lasciarsi attraversare da quella ricreazione continua di mondi possibili e inverificabili, che ci comunicano le variazioni in musica, la cui inverificabilità induce a immaginare (e a rinviare) a ulteriori mondi possibili giustapposti, simultanei, rizomatici e mai reciprocamente escludenti? (Arianna Agudo, Ascolto, in AA. VV., Giorgio Manganelli, Quodlibet, 2022)


Come provare il potere della musica di farci accedere a ciò che è (era?) prima della parola? Se è vero che “nella musica viene all’espressione qualcosa che nel linguaggio non può essere detto”? (Agamben) 


E allora cosa perdiamo? Io penso che perdiamo molto in termini di esperienza, di ulteriorità. di prospettive, di possibilità e di scelte. 


La smania di concludere, di portare sempre “a casa” qualcosa: quel film voleva dire questo....; quel quadro rappresenta quest’altro....; quella musica dice questo o mi ricorda quello....paradossalmente ci rende poveri.


Se tutto quadra, se utilizziamo una specie di traduttore universale, se riusciamo a collocare ogni cosa nel suo scaffale, se tutto ha una logica, un inizio e una conclusione, se tutto è traducibile in un racconto coerente, se tutto diventa trasparente, non è detto che tutto vada bene. Può anche significare che non sappiamo imparare più niente dalla vita. Che più niente ci cambia la vita davvero. Che perdiamo più di quello che riceviamo.


Forse ha ragione Peter Sloterdijk, quando scrive che “in principio non fu il logos, bensì quel disagio che è alla ricerca di parole”. 

Un disagio originario inestinguibile; guai a noi se pretendiamo di cancellarlo o di diluirlo.


Anche per questo, forse ci serve recuperare un concetto, e una pratica, che nella contemporaneità non sappiamo più utilizzare, perché più di altri sembra caduto in rovina: “apprendere”. 

Apprendere a conoscere e sperimentare la vita e il vivere.


Sappiamo tutti che apprendere non è accontentarsi di accumulare semplicemente conoscenze. Ma forse pochi sanno che, come nota lo scrittore filosofo di Karlsruhe, apprende davvero solo chi capisce che "apprendere ha in sé qualcosa di una conversione".


mercoledì 22 febbraio 2023

Bruno, dall'infinito alla libertà

La realtà non è che ripetizione, perciò abbiamo bisogno di uno "sguardo" diverso, che non si fermi alle "figure" ma scopra le cose e ia realtà come "immagini". Abbiamo bisogno di "leggere il reale alla rovescia"(Proust) e, per così dire, dal punto di vista dell’infinito.

La perenne lezione di Giordano Bruno è tutta qui.


L'avvertimento con cui Paul Valéry aprì il suo primo corso al Collège de France potrebbe descrivere bene il modo in cui Bruno immaginava il suo compito: "vi ricordo che lo scopo di questo corso non è insegnare, ma risvegliare - non rendere alcune cose più facili, ma al contrario più difficili davanti a voi - non risolvere problemi, ma enunciarli - porre ostacoli dove siete abituati a camminare liberamente"


In quella drammatica tempesta di simboli che caratterizzò l'avvio della "nuova era", Bruno si è districato, e ha pagato per questo un prezzo alto, intercettando, come nessun altro, ciò che si agitava nel profondo del reale, inseguendolo con insistenza, fino ad intravedere orizzonti possibili.


Questo era possibile solo trasgredendo l'interdetto aristotelico fino ad arrivare a immaginare "che l’infinito, ossia ciò che non è, diciamo pure il nulla, sia il fondamento stesso della realtà: che è per questo sempre altra da sé, è infinitamente altra da sé, ma, per questo, al tempo stesso, è realtà infinita e infinita libertà. Perciò, secoli dopo Plotino,, l’antiaristotelico Giordano Bruno immaginò l’infinità dei mondi e quindi arrivò a pensare che l’infinito non solo è attuale, ma lo è sia rispetto allo spazio sia rispetto al tempo" (Sergio Givone, Sull'infinito, Il Mulino).


Tuttavia, è solo attraverso l’immaginazione e una diversa prospettiva sul reale  che possiamo uscire da noi e cogliere "mondi possibili". 

Possiamo perciò convenire con Peter Sloterdijk, quando, sulla scorta degli studi delle opere latine di Bruno, condotti da Elisabeth von Samsonow, rileva che dopo la rilettura di alcuni testi latini di Bruno relativi alla "capacità costitutiva del mondo propria della 'fantasia', l'indolente tendenza degli storici delle idee a costruire il pensiero moderno a partire unicamente da Descartes si fa più discutibile che mai".


L'amore per la libertà, di cui Bruno è diventato un'icona - sì perché è necessario avere ben chiaro che Bruno è un testimone e un'icona non solo della libertà, ma della scelta incondizionata per la libertà -, ebbene quell'amore e questa scelta non sarebbero pensabili senza il suddetto retroterra concettuale e filosofico, relativo all'idea di infinito.


Sono queste premesse e quella, personale, scelta, il motivo per cui parole e concetti erano per lui soprattutto segni, vessilli, metafore, a cui Bruno dava, in un'epoca di disperate e sanguinose tempeste di simboli, una valenza semiotica, insospettata e inaccettabile per i più. 


Ma, in Bruno era già evidente la consapevolezza, che non è ancora del tutto nostra, del ruolo e della necessità di una continua ricerca, un continuo peregrinare e cercare, “per largo e per profondo”, “mai fermando i passi, di ciò che è oltre e oltre”.


Chissà se noi, oggi, siamo in grado di accogliere la lezione che viene da un fastidito accademico di nessuna academia". Un autore polisemico, come Bruno, può essere letto (o, dovremmo dire, tradotto?) soltanto al plurale, andando sempre oltre, guardando le cose dal punto di vista dell'infinito, appunto, dal punto di vista dell'infinitamente altro

Dal punto di vista dell'infinita libertà che procede in tutte le direzioni.


Ma, se si fa attenzione a ciò che accade oggi, pare che, molti, - a quasi 500 anni dalla vicenda di Bruno - non abbiamo ancora fatto i conti, né con la prospettiva dell'infinito, e tantomeno con il connesso tema della libertà.

Forse pensano ancora che "non è bene, per il viaggiatore vagare in questa infinità" (Keplero). Non si spiegherebbero altrimenti la "comprensione" e il sostegno che arriva da varie parti ( religiose, intellettuali, politiche) ai regimi autoritari, dittatoriali e antidemocratici di oggi. 

È come se avessero invitato, a suo tempo, Bruno ad accogliere "le buone ragioni" degli inquisitori, barattando magari la propria libertà!








 

 

mercoledì 25 gennaio 2023

Parliamo tutti sotto dettatura?

 È vero, "il linguaggio non va preso troppo alla lettera" (W. Heisenberg). Ma che succede quando si ammala? Che succede quando la malattia del linguaggio diventa "mostruosa" e si diffonde con la velocità delle pandemie? Che succede quando il linguaggio "si è talmente autonomizzato da diventare una forza a sé, che ci trascina dove non vogliamo veramente andare", invece di fungere da docile strumento delle nostre intenzioni, come scrive Rocco Ronchi sulla scia del giovane Nietzsche (Rocco Ronchi, La malattia mostruosa, in Uwe Pörksen, Parole di plastica, Textus))?


In realtà, nota il linguista Uwe Pörksen nel suo libro ancora attuale e prezioso, una piccola serie di parole o termini in apparenza scientifici, si diffonde per il mondo industrializzato, pesando su tutto lo sviluppo umano. Il risultato è che oggi "ci cuciamo addosso il linguaggio muovendoci al suo interno come in un'uniforme".

E non ci si riferisce qui alla pedante abitudine di ripetere come pappagalli frasi dei propri giornali "preferiti", o dei propri, spesso improvvisati e inattendibili, leader. Non si tratta neppure delle semplici e classiche "parole d'ordine" o degli "slogan" o di ciò che chiamiamo "formule vuote", di cui è pieno il nostro parlare.


Si tratta di un tipo particolare di termini, si tratta delle "parole di plastica", scrive Pörksen, parole che Ivan Illich chiamava "parole plastiche" o "parole ameba", perché tendono ad assumere molteplici forme e qualsiasi significato, perciò, alla fine, nessun significato reale. 

Sono parole per nulla appariscenti, che si sono insinuate molto di soppiatto anche nel linguaggio colloquiale; sono le più inosservate e silenziose ovvietà di tutti i giorni. 

Fino a diventare una vera "prigione quotidiana della percezione". 


Di solito le parole "ameba" sono termini che nella lingua sono sempre esistite, ma, dopo essere passate attraverso una centrifugazione "scientifica", sono poi state rilasciata nel linguaggio ordinario con una nuova connotazione, che ha qualcosa a che fare con ciò che altra gente sa e tu non sai bene spiegare.


Hanno una specie di fascinosa "aura_, nota Pörksen. Per cui le persona si sentono, e diventano, importanti quando le usano. In tal modo sono convinte di fare affermazioni scientifiche e di meritare quindi l'ultima parola sulle questioni decisive.


"Una parola plastica -  commenta Ivan Illich - è come un sasso lanciato in una conversazione:  crea delle onde ma non colpisce nulla. Ha una serie di connotazioni ma non designa niente di preciso. In realtà, potremmo dire, sono nulla, niente.


Succede, con queste parole, che concetti popolari appartenenti al linguaggio colloquiale trasmigrano nella scienza o in altre sfere superiori, dove assumono l'aspetto di verità assolute, e una volta autorizzate e canonizzate tornano al linguaggio colloquiale, dove diventano miti dominanti che adombrano, e confondono, la vita, e il pensiero, di tutti i giorni.


Uwe Pörksen, nel suo libro, sottolinea che in realtà, esse sono soltanto una trentina, si trovano in ogni lingua. e sono sempre le stesse nelle varie lingue.

L'elenco che ne fa Pörksen è sorprendente ed emblematico. Se lo scorriamo abbiamo subito la sensazione di qualcosa di familiare, di già orecchiato, nei nostri discorsi quotidiani oltre che in quelli che si fanno nelle alte sfere

A pensarci bene dobbiamo prendere atto che si tratta del nostro ridotto vocabolario abituale, quello con cui si pretende di ridurre la storia a natura.


Chi di noi non sente usare e non usa, senza averne un'idea precisa, e senza pensare di doverne dare una spiegazione esauriente, termini come salute, sessualità, sviluppo, comunicazione, informazione, produzione, risorsa, energia, lavoro, management, servizi, assistenza, educazione, progresso, sistema, struttura, strategia, contatto, sostanza, identità. crescita, trend, tenore di vita, processo, progetto, futuro. 

Tutte queste parole plastiche hanno un numero preciso di caratteristiche che Uwe Pörksen enumera nel suo libro. Al suddetto elenco, secondo Illich, occorrerebbe aggiungere anche "vita", termine che, espresso in questa forma universale, è all'origine di molta confusione oggigiorno.


Come sottolinea il linguista norvegese, qui non ci viene chiesto tanto di stigmatizzare  delle parole come se si trattasse di una missione dei puristi del linguaggio, quanto di osservare ad evidenziare un modo tipico di usare alcuni termini.


Le "parole di plastica" sono parole cui il parlante, anche se volesse, non ha il potere di conferire un significato preciso o determinato. Il significato è definito, e dato per acquisito, da qualcosa di estraneo a noi, noi possiamo solo " recitare", quel linguaggio e quelle parole ed è ciò che tutti fanno. In effetti l'ambito d'uso di tali parole tende ad essere quasi "universale"  e universalistico, in una certa misura trascendentale.


Ecco perché, nel caso di nomi e parole come queste, la lingua corre il rischio di diventare autonoma, senza referente, non più strumento. 

È per questo che, suggerisce Uwe Pörksen, forse ci troviamo di fronte alla fase più recente di omologazione dei linguaggi colloquiali odierni, In effetti, le parole di plastica, le parole ameba, paiono rappresentare una specie di codice di base internazionale. Un codice semplice, povero di storia, facile da imparare e maneggiare. Sembra proprio che quei vocaboli e le regole di combinazione che compongono questo "codice" siano poche: è una specie di Lego, nota Pörksen.


Ecco il punto. Una piccola serie di termini, in apparenza scientifici, si diffonde per il mondo industrializzato. Le parole plastiche penetrano anche nei discorsi di alto livello, dove vengono usate imprudentemente come basi di affermazioni di tipo normativo. Capiamo allora perché ciò che ne risulta appare come una rete che racchiude e forse imprigiona la nostra coscienza del mondo.


Andiamo davvero verso una specie di Neolingua (ne parlava già Orwell), una specie di esiguo vocabolario internazionale (fatto di 40, 20 o addirittura 15 parole) che si estende su tutta la terra: una lingua artificiale e priva di dimensione storica, le cui caratteristiche principali sono la riduzione del vocabolario e la standardizzazione dei significati delle parole?


È questa la vera pandemia che pesa su tutto lo sviluppo umano e che, come pensava Nietzsche, rende impossibile ai "sofferenti" di intendersi tra loro "sulle afflizioni più elementari della vita"?

È questa la mostruosa malattia di cui parla Rocco Ronchi nella sua densa Prefazione al libro del linguista norvegese Uwe Pörksen?

Siamo davvero nella condizione, di cui parlava Sartre. di poter solo "recitare il linguaggio"? Siamo tutti indotti a "parlare sotto dettatura"?

Ma, se questo è vero, se ci mancano le parole per dire la sofferenza, come scriveva Nietzsche. allora, annota Rocco Ronchi, ciò farebbe vacillare anche il senso della politica. 


Infatti, se è così, anche quando le parole vengono articolate in possibili discorsi alternativi, sembrerebbe che qualche forza occulta le requisisca per ritorcerle contro i parlanti.







giovedì 29 dicembre 2022

Quando i dittatori verranno rovesciati dai loro troni

 Una strana forma di nemesi delle sinistre appare oggi evidente. È come se "qualcosa" volesse far espiare loro qualche colpa. Forse sinistre e democratici hanno smarrito il senso della liberta? Infatti pare che non riescano più a distinguere tra democrazia e dittatura o tra libertà e schiavitù.


Infatti, dall'epoca delle grandi rivoluzioni liberali e democratiche del '700 in poi, le sinistre, i democratici, i progressisti, sono sempre intervenuti a fianco e in sostegno dei popoli oppressi o ridotti in schiavitù, o aggrediti o minacciati nella loro libertà, dai  regimi autoritari o dittatoriali. 

Insomma, le sinistre, i democratici, i progressisti. nello scontro tra regimi autoritari o dittatoriali e popoli desiderosi di libertà o di democrazia, sapevano sempre da che parte schierarsi, senza bisogno di molti argomenti.


Oggi invece succede il contrario. Molti settori della sinistra, molti democratici, molti progressisti sembrano aver perso la bussola. Per scegliere tra libertà e schiavitù, o tra democrazia e dittatura, vanno alla ricerca di argomenti di natura quasi metafisica quando non si affidano a elucubrazioni pseudo-teologiche.

Insomma ve li immaginate Garibaldi, Mazzini o Marx, che prima di schierarsi con i popoli sudamericani, i contadini del sud Italia, o i rivoluzionari della Comune di Parigi, sono lì ad appurare le "legittime" ragioni dei loro oppressori?


Oggi, succede che molti settori di partiti, gruppi o movimenti di sinistra, democratici, progressisti vecchi o "nuovi", corrono in soccorso di regimi autoritari e sanguinari come la Russia, la Cina, l'Iran, e altri simili, intenti a comprendere o giustificare le scelte aggressive, oppressive e le  politiche sanguinarie di quei regimi.


E, addirittura, succede, qui in Italia, che un Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, esponente dell'estrema destra, afferri la bandiera della libertà dei popoli, e sappia prendere atto che, oggi, dopo l'aggressione della Russia all'Ucraina, anche in Europa, "la libertà non è scontata", mentre sedicenti rivoluzionari, progressisti, esponenti della sinistra, o "democratici", al seguito di "intellettuali", "pensatori", e alcuni giornali, giornalini e giornaletti, si girano dall'altra parte 

lasciando la bandiera della libertà in mani dove non è mai stata.


Ecco la questione, ecco la strana nemesi: se la sinistra o i democratici o coloro che si dicono tali, non riescono più a scegliere tra libertà e schiavitù o tra dittatura e democrazia, senza incredibili bizantinismi, allora siamo proprio messi male. Siamo sulla via di un tragico destino.

"Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur"!



Sì, ha ragione Giorgia Meloni, oggi è in pericolo la nostra libertà, insieme alla libertà di molti popoli, anche perché molti "progressisti" e "democratici" hanno dimenticato un principio evidente per i democratici e i rivoluzionari del passato: qualunque regime autoritario, dittatoriale e illiberale è fondamentalmente illegittimo e non può essere mai supportato da veri democratici.


E la pace? Ma veramente c'è chi crede che potrà mai esserci la pace finché ci saranno regimi che si reggono solo sulla forza e sulla violenza? Regimi che minacciano con la loro esistenza l'essere e la libertà dei vicini?


Quando arriveremo a riconoscere che


Non c'è pace senza libertà

Non c'è giustizia senza libertà

Non c'è uguaglianza senza libertà

Non c'è fraternità senza libertà

Non c'è amore senza libertà

Non c'è dignità umana senza libertà

Non c'è essere umano senza libertà

Non c'è neppure vera religione senza libertà


E, se è vero, come pensava, con fondati argomenti, il filosofo umanista Pico della Mirandola che ciò che rende l'uomo simile a Dio è la sua libertà, dovremmo anche dire:

forse neppure un "Dio" è pensabile senza libertà.



mercoledì 23 novembre 2022

Religioni e Chiese di fronte a un bivio

 È abbastanza evidente che, in questo nostro tempo, sia l'autodeterminazione dei popoli, sia la libertà personale e individuale sono sotto attacco, soprattutto ad opera di regimi politici illiberali, autoritari, autocratici e dittatoriali, che paiono aumentare di numero nel mondo.

Ma è altrettanto palese che, oggi ,in tutte le forme di negazione o riduzione delle libertà personali e di violenza diretta o indiretta sulla vita e sui corpi degli individui, tendono ad insinuarsi motivazioni religiose o pseudo religiose, come pure motivazioni morali o pseudo morali. 


Un fatto comunque è certo: dobbiamo riconoscere che oggi, anche in occidente, sia la libertà personale sia la democrazia, sono messe in pericolo, con il sostegno diretto o indiretto, o l'acquiescenza di chiese, movimenti religiosi, leader  religiosi e settori delle gerarchie ecclesiastiche.


Ecco perché è ragionevole attendersi, oggi, anche dalle religioni e dalle Chiese una parola chiara e senza ambiguità, sulla questione della libertà individuale.

È arrivato il tempo, per le Chiese e le religioni, di chiarire e finalmente definire senza equivoci il proprio rapporto con la libertà personale e le libertà individuali.


Perché, alla fine, in tempi come i nostri, anche parlare di pace (o "gridare la pace" come alcuni amano dire oggi) appare ipocrita se non si elimina ogni ambiguità e ogni sottinteso sui temi della libertà, delle libertà personali. oltre che della libertà dei popoli.


Certo, non è strano e non è nuovo che regimi come Russia, Cina, Iran, Afganistan, e altri Stati, a loro modo accoliti, satelliti o alleati delle grandi potenze autoritarie, dittatoriali o totalitarie, abbiano come loro obiettivi non solo la negazione della dignità della vita e della libertà individuale al loro "interno", ma si propongano anche la disgregazione dei regimi democratici e delle nozioni stesse di libertà individuale e di democrazia.


Ciò che, però, è certamente strano, pericoloso, vergognoso e scandaloso, è che il fascino di questi regimi autoritari, antidemocratici e illiberali, coinvolga gruppi politici e governanti di paesi democratici, gruppi sociali e intellettuali dei paesi occidentali, organi di informazione, movimenti laicali che si dichiarano cristiani o cattolici, o addirittura settori rilevanti delle gerarchie ecclesiastiche delle diverse chiese cristiane.


Se è vero, come è vero, che la libertà, personale e individuale, caratterizza e definisce il soggetto umano, prima e più di qualunque altra facoltà e qualità, se è vero, come è vero, che la libertà è un valore non negoziabile, come la vita stessa, allora oggi nessuno che creda nel futuro dell'umanità. può essere ambiguo, reticente o "benaltrista" su questa questione. 


Tra l'altro, ciò che dovrebbe dare da pensare è che, come molti esperti di storia delle religioni e di dottrine religiose sanno, la tradizione ebraico-cristiana ha avuto origine con l'elaborazione biblica di un'idea di Dio come indissociabile dalla nozione di libertà e liberazione da ogni "faraone" di questa terra, ed è culminata in due rivoluzionarie affermazioni del Gesù dei Vangeli, che hanno ambedue a che fare con il tema della libertà.


La prima, secondo la quale nessun "Cesare" si può arrogare i poteri di un dio, in altre parole, non c'è nessun "dio" su questa terra, nessun "sovrano" a cui l'individuo debba totale obbedienza; e l'altra, del tutto incredibile e inaudita, se analizzata nel suo contesto culturale, secondo la quale non è l'individuo umano fatto per "il sabato", ma, al contrario, è "il sabato", con tutto quello che ciò rappresenta, ad essere fatto per l'individuo umano.


 Beh, in teoria, quanto detto, presuppone che ogni credenza in un Dio unico, che "sta nei cieli", e perciò non si identifica con individui e istituzioni che "stanno su questa terra", dovrebbe essere percepita, prima di tutto, come un fondamento e una garanzia della libertà di ogni individuo umano, ("l'ultima difesa" della libertà, scriveva il filosofo Sergio Givone), nonostante le contraddittorie testimonianze che. su questa questione, spesso, le religioni hanno dato nella storia.


Diventa alquanto difficile quindi dare senso all'ambiguità o reticenza, da parte  di settori delle gerarchie ecclesiastiche e religiose riguardo al tema della libertà individuale, di fronte a regimi che non considerano la libertà individuale un'opzione essenziale.

Così come è scandaloso che, in paesi democratici, governanti o politici che mirano a ridurre gli spazi di libertà e di democrazia (Trump in Usa, Bolsonaro in Brasile, Orban in Ungheria, per fare qualche esempio) trovino sostegno e ammirazione in gerarchie religiose cristiane o cattoliche.


Se questo accade, ovviamente, c'è qualcosa che non va ("in Danimarca").


D'altra parte, non c'è neppure nessuna diplomazia che tenga, in casi come quelli citati,  Soprattutto perché la diplomazia, pur necessaria nel rapporto tra stati, esige, da sempre, una congrua dose di cinismo che non pare possa essere una caratteristica dei leader ecclesiastici o religiosi in generale.Anche a questo proposito sarebbe interessante studiare il racconto che gli evangelisti fanno dellatteggiamento di Gesù di Nazareth nei confronti dei tiranni sanguinari del suo tempo.


Quindi, forse, è adesso il tempo per una esplicita scelta di campo in favore della libertà individuale da parte delle religioni e delle chiese; è questa l'ora per separare definitivamente i destini delle chiese e dei movimenti religiosi da ogni forma di connivenza con regimi totalitari, autoritari, dittatoriali, autocratici e illiberali,



mercoledì 26 ottobre 2022

Cose serie che fanno ridere

Riconosciamolo, in certe situazioni si può solo ridere!

Molto spesso i comportamenti e le parole non hanno ragioni decifrabili. Sembra che qualcos'altro, magari "l'impensato", come lo chiama Katherine N. Hayles {L' impensato. Teoria della cognizione naturale, Effequ) governi il pensabile. 

Non con tutti si può dialogare, alla faccia delle "anime belle" che sentenziano si debba dialogare anche con il diavolo. In realtà queste confondono il "negoziato" o la "trattativa" sempre possibili, con il "dialogo", che è tutt'altra cosa e si fonda su ben altri presupposti.

Non tutto si può insegnare.

Non tutti riusciamo ad imparare, neppure dall'esperienza.

Perciò ci sono casi, situazioni, persone, di fronte alle quali non ci resta che ridere, in attesa di tempi migliori.


Tante vicende recenti, da tutte le latitudini e da ogni livello o condizione sociale, ci svelano questa ottusità spiazzante della realtà.

Pensiamoci un attimo, tanto per fare solo alcuni esempi più noti.


Cosa fare se non ridere di fronte alla scelta della Brexit, in un mondo globalizzato e interconnesso?

E di fronte alla reazione di un Trump che non riesce ad accettare di non essere stato rieletto, fino a tentare un colpo di stato, come non ridere?

Cos'altro si può fare o dire, se non ridere di fronte a un Bo-Jo che credeva di imitare Churchill e magari riteneva anche fino ad alcuni giorni fa di potersi riprendere la poltrona di Primo ministro, dopo il fallimento di  Liz Truss che a sua volta credeva di imitare la Thatcher?

E che fare se non ridere quando il capo di un partito italiano pensa che sia utile elettoralmente esibire rosari e statue della Madonna?

O quando un  candidato alla presidenza del Senato della Repubblica italiana sente il bisogno di far sapere, a sentire i giornali, che egli recita 50 "ave maria" al giorno?

E come non sbellicarsi dal ridere quando un comico crea un partito e lo chiama "5stelle" come fosse un pacchetto vacanze "tutto compreso" da vendere. senza indicare neppure la meta del viaggio?


Come non ridere quando buona parte della gerarchia cattolica americana, insieme a molte chiese neoevangeliche vedono in Trump una icona del cristianesimo?

O quando il papa delle chiese ortodosse russe promette un posto in paradiso a chi si arruola per una guerra di invasione e sterminio?


E che fare se non ridere quando veniamo a sapere che al mondo, nel 2022, esistono governi che hanno un un "ministero per la lotta al vizio e la promozione della virtù", e altri governi che, oltre le consuete forze dell'ordine, hanno reparti di "polizia morale"?


Che fare se non ridere quando difensori e "teorici" della libertà in italia, invitano il popolo ucraino a rinunciare alla propria libertà per "dialogare" e accogliere le ragioni di un Stato invasore e sterminatore?

E come non ridere quando questi paladini del dialogo bollano come "guerrafondai" e "nemici della pace" i popoli democratici, confinanti con la Russia,  che chiedono di rifugiarsi sotto la protezione dell'alleanza di governi democratici, temendo per la loro libertà?

A dire il vero, bisogna riconoscerlo, questi accaniti "pacifisti" della domenica e della "ribalta", appaiono molto simili a quei tanti "figli di papà", che, negli anni settanta, facevano gli "alternativi" con il portafoglio di papà in tasca, pronti poi a ricorrere a papà se le cose si mettevano male!


E coi no vax?, i no-scienza, i terrapiattisti? i no-sviluppo? i no-tutto? Cosa fare? Di cosa discutere con loro?  Che fare se non ridere? 

Che fare poi con quelli che ritengono che la lotta per il clima, o qualunque altra lotta, giustifichi la distruzione di un'opera di Van Gogh. di Monet, di Michelangelo, o di altri patrimoni della coscienza umana? Che fare se non ridere, magari dopo averli resi inoffensivi?


E quando ampi settori del mondo cattolico (e cristiano), insieme a parti delle gerarchie ecclesiastiche, statunitensi e di altre aree del mondo, e ad alcune chiese evangeliche, considerano un portavoce di satana Papa Francesco, mentre vedono dei "messaggeri" dell'etica cristiana" in Trump o Bolsonaro, in Orban o addirittura in Putin, che fare se non ridere?


E se. da questi settori delle gerarchie ecclesiastiche, da molti gruppi delle chiese neoevangeliche americane, come da molti settori laicali cattolici e cristiani in genere, emergono posizioni ambigue che sembrano presupporre una equivalenza tra regimi democratici e regimi autoritari. o una inquietante "comprensione" verso tiranni o aspiranti tali, che altro fare se non ridere?

Che fare se non ridere, quando si deve constatare che questa ambiguità, da parte di settori delle gerarchie e di gruppi e movimenti cattolici e cristiani. verso regimi autoritari e sanguinari. sembra riproporre  come questione non risolta, il tema della liberta individuale, questione che sembrava superata dal Concilio?


E, cos'altro fare se non ridere di fronte a quelli che, immemori della storia, pensano che possano esistere e sopravvivere democrazie disarmate, mentre prosperano e si espandono regimi autoritari o dittatoriali come la Cina, la Russia o altri simili? 

Preferirebbero forse un mondo trasformato in un grande campo di concentramento, in un grande lager, o in un immenso campo di rieducazione forzata, come ha tentato di fare Hitler nel novecento e come non nascondono di desiderare regimi che seguono le stesse tecniche?


È evidente che certi tempi sembrano decisamente i tempi della stupidità. Beppe Fenoglio diceva addirittura che "oggi il cretino è specializzato"! Riferendosi forse al fatto che oggi ha più strumenti per farsi accettare come plausibile.

Attenzione, amici lettori, non interpretate come un’ingiuria o uno spregio l'uso che viene fatto qui del termine “stupidità”.


A volte non c'è davvero niente da spiegare o da capire, a volte siamo di fronte a qualcosa di cui si può solo prendere atto, magari sbalorditi, ma a proposito del quale non c’è nulla di ulteriore che si possa aggiungere o spiegare, se non ridere!


Trovarsi di fronte a fenomeni come quelli descritti sopra è come avere una sensazione perturbante di aver perso la capacità di parlare del mondo. Forse il riso è anche una reazione a queste forme di spaesamento, è la reazione alla percezione di un contrasto incredibile e indecifrabile. In attesa di tempi migliori!


Certo. una reazione potrebbe essere anche quella della rabbia o del risentimento; ma pare che il riso sia, senz'altro, la reazione più salutare!


Sì, molte volte non ci resta che ridere!



 

giovedì 29 settembre 2022

La storia, fedele e discreta compagna di viaggio

 


A che serve conoscere la storia se gli esseri umani, non smettono di ripetere le tragedie e gli errori del passato? Cosa imparano gli esseri umani dallo studio della storia (ma forse non è vero che la studiamo e la conosciamo)? 

Cosa sanno davvero gli abitanti di questo pianeta, per esempio. salla storia tragica del 900?

Quel novecento tragico non può essere mai dimenticato, né da noi né da quelli dopo di noi. Ma ecco cosa è ancora necessario: la consapevolezza di dover sempre prendere posizione riguardo a valori non negoziabili come la democrazia e la libertà personale.

Conoscere e richiamare alla memoria tutto ciò che è già accaduto, può rappresentare infatti non solo una messa in guardia, ma soprattutto un motivo di speranza nei momenti bui, e l’indicazione chiara di una direzione di marcia!


È, infatti, evidente che, oggi, sia la democrazia che le libertà individuali e personali sono sotto attacco, da parte di potenze statali illiberali e forze di varia natura e ispirazione, per le quali la democrazia e le libertà individuali sono opzioni non necessarie o addirittura superate,


Perciò occorre prendere atto che questi pilastri della convivenza umana sono sempre a rischio, (ecco perché non può esistere, così come non è mai esistita una democrazia disarmata) non solo per l'attacco programmatico da parte delle autocrazie e dei regimi autoritari o dittatoriali, ma anche perché l'abitudine alla democrazia e alla libertà rende spesso i popoli occidentali distratti riguardo alla fragilità di questi valori. considerati scontati ma che si possono perdere da un momento all'altro.


Credo che si spieghino, anche così, certi curiosi fenomeni più o meno espliciti di "collaborazionismo", nei confronti di regimi nemici della democrazia e delle libertà personali; sono forme di collaborazionismo che sembrano ripetere, oggi, ambigui comportamenti osservati al tempo dell'occupazione dell'Europa da parte del nazifascismo.


Eppure credo che, proprio studiando i complessi movimenti della storia, potremmo anche comprendere che i progressi nella storia si verificano spesso accanto alle regressioni, e talvolta nllo stesso tempo.


Infatti, a guardare bene, dall'analisi attenta della storia emergono a volte lezioni che, in un certo senso, rinfrancano e riscattano il genere umano

Per esempio, la tragedia della seconda guerra mondiale non fu solo uno scontro per il dominio del mondo e delle sue risorse; non rappresentò soltanto la vittoria di una alleanza di paesi democratici su quelli nazi-fascisti; non ricordiamo con quelle vicende solo la lotta per la liberazione di paesi occupati. 

La storia che raccontiamo ricordando quelle catastrofiche vicende parla anche di uno di quei rari momenti della vita dell’umanità, in cui è emersa, con forza, la consapevolezza che a volte è soprattutto tempo di prendere posizione relativamente a un progetto di umanità e a una antropologia, e riguardo a una forma di civiltà e a un complesso di valori, da cui può dipendere, in ogni caso, il destino della comunità umana.  


Come non amare la storia se ci racconta anche queste altre storie?

Aveva ragione Michel De Certeau quando diceva che in certi momenti il passato purtroppo ci sfugge. Ma, è proprio in quei momenti, sempre differiti nel tempo, che deve nascere un convinto atteggiamento storico

In fondo è in questa idea di un passato come assenza che tende a sfuggirci, che si radica e trova giustificazione la necessità del discorso storico e della sua ripetuta narrazione.





lunedì 29 agosto 2022

K-drama alla centrale meteorologica

 Persone del centro meteorologico: la crudeltà delle storie d’amore, è, più o meno, la versione in italiano del titolo originale coreano (기상청 사람들: 사내연애 잔혹사 ) di una serie tv, diffusa da Netflix, a livello internazionale con il titolo ´Forecasting Love and Weather', e distribuito in Italia con il titolo semplificato ma troppo riduttivo di Previsioni d'amore.

Nei tre passaggi della traduzione del titolo infatti si può notare come sia via via scomparso l'asse intorno al quale ruota la narrazione e cioè il contesto della  centrale meteorologica.

È riduttivo e semplicistico il titolo italiano (e in parte quello internazionale) perché alla fine riduce tutto solo a una semplice e comune storia d'amore. oscurando cosi il ruolo quasi da "co-protagonista", e comunque centrale, dell'approccio e dei modelli della meteorologia, che diventano nella storia una specie di criterio ermeneutico delle vicende umane.

Credo he il titolo originale, e l'intera sceneggiatura del k-drama ci aiutino a capire che nelle intenzioni degli ideatori non si trattava solo di vicende e drammi relativi all'amore, ai rapporti di coppia, di generazioni o di gruppo.

La presenza costante, nella narrazione, delle sale dei centri meteorologici, con i loro grandi schermi, i team di ricercatori, i satelliti artificiali, i palloni-sonda, le complesse tecnologie, le mappe e carte meteorologiche, i modelli matematici, i briefing quotidiani, con team dei diversi centri e con la stampa,  credo voglia non solo introdurre lo spettatore a tutto ciò che sta dietro quello che chiamiamo " il meteo", ma anche spingere a pensare che l'approccio delle scienze meteorologiche potrebbe essere un utile, e forse oggi più efficace, modello per interpretare l'instabilità dell'esistenza e delle fluide dinamiche dell'io e delle relazioni.

Insomma, le scienze meteorologiche non sono solo uno sfondo della narrazione, ma, come si è già detto, un vero "co-protagonista", insieme all'amore e alle complesse relazioni umane.

Tutti i 16 episodi hanno titoli che ci guidano in un modo o nell'altro all'interno dell'approccio meteorologico: Segnali/Temperatura effettiva//Cambio di stagioneVisibilità/Forti piogge localizzate/Effetto isola di calore/Allerta ozono/Indice di disagio/Stagione delle piogge/Notte tropicale/1*C/Zona di variazione/Scenario 1, 2, 3/Anticiclone migratorio/Previsioni ensemble/Le risposte di domani.

Forse questo k-drama non vuole solo raccontare le solite, eterne, appassionanti storie d'amore, e neppure solo descrivere l'impegno avanzato dello Stato sudcoreano nel promuovere le tecnologie meteorologiche, per garantire la sicurezza e il benessere dei suoi cittadini  (come ci viene suggerito varie volte durante la narrazione), ma intende anche proporre all'attenzione degli spettatori le scienze meteorologiche, attraverso una forma di guida in una nuova città, rappresentata dalla meteorologia.

Tuttavia, procedendo nella visione della serie tv, comprendiamo che la meteorologia non è solo vista come strumento per conoscere "le previsioni del tempo", ma come un approccio per capire meglio le relazioni e la vita, applicando ad esse modelli d'osservazione più complessi e sempre aperti all'imprevedibile.

In ogni caso, bisogna riconoscere che, al di là dell'interesse e del godimento estetico che Previsioni d'amore può offrire, trasformare un settore che sembra freddo e asettico, come la rete delle scienze meteorologiche, in una storia anch'essa godibile e avvincente, intrecciata ad altre storie umane, è senz'altro un merito degli ideatori e dei produttori di questa serie tv.

Del resto, forse, tra le scienze, non c’è niente di più complesso e imprevedibile della meteorologia, che, con il suo contenuto fatto di infinite variabili, in continua e mutevole interazione tra loro, presuppone un paziente e ininterrotto lavoro d'equipe tra le varie specializzazioni e i diversi operatori e ricercatori, alla ricerca di conclusioni e decisioni sempre provvisorie e rivedibili.

Cosa c'è di più interessante e istruttivo per leggere la caotica condizione umana, per individuare una qualche forma di diversa e umile razionalità per i nostri tempi?

Dal momento che, ci viene suggerito nel corso della narrazione, la meteorologia è proprio un tipo di approccio dal quale siamo costretti a imparare che "ci sono situazioni in cui avere torto o ragione non conta", mentre occorre "scegliere lo scenario possibile senza avere garanzie di certezza".


In principio fu il disagio

  Cosa perdiamo quando guardiamo un film e badiamo prima di tutto al “ significato ”, preoccupandoci di tradurre in linguaggio logico e coe...